Riflettere sullo sballo

È l’inizio di una riflessione più ponderata sulla questione. Non basta chiudere il Cocoricò, ma bisogna pur partire e agire.

Questo contributo di Inter-vista è quanto mai interessante. Dove è finita infatti l’emergenza educativa di cui tutti parlavano tempo addietro? Chi ancora la coltiva e la guarda con preoccupazione?

I lettori che volessero elaborare una propria riflessione sono ben accetti.

 

 

2 thoughts on “Riflettere sullo sballo”

  1. Parlo da figlio 26enne, perchè ancora genitore non sono, ma comincio a pensare a cosa significhi farlo.
    Commentando l’articolo mi viene da dire innanzitutto che l’uscita del sindaco di Gallipoli manca, oltre che di tatto, anche di intelligenza: “se non sai educare, non procreare”, uno slogan facile, da politico medio. A parte la curiosità di conoscere i suoi figli, che viene spostanea, credo che una visione del genere sprizzi superbia, quando alla categoria/generazione genitoriale servirebbe invece un bel bagno di umiltà. Senza che venga a mancare la responsabilità primaria del genitore, che sempre più spesso non sceglie responsabilmente di diventarlo, in uno scenario di crisi educativa, ci si viene incontro con la corresponsabilità di cui parla Lambiasi quando metaforizza con i “villaggi”, che altro non sono che ambiti di incontro e condivisione, dove di fatto ci si mette in discussione. Tuttavia chiediamoci quanti genitori ne sentano la necessità, quando la risposta educativa media è quella che accontenta il figlio per evitare di “sbattersi” le sue storie o, come nel caso del sindaco, che l’educazione impartita sia considerata già la migliore. Responsabilità e umiltà, essenziali per una scelta che sconvolge la nostra vita e ci coinvolge a 360°, ci costringe ad un uscire da noi stessi, mette in crisi l’egocentrismo smisurato a cui siamo improntati dalla società di oggi. Quanto siamo disposti a questo? Se cresciamo con l’obiettivo primario di realizzare il nostro successo personale e la preoccupazione di tenere pulita la vetrina di noi stessi, anche una ricchezza enorme come la genitorialità rischia di diventare un ostacolo e ne sfuggiamo, compromettendo il proprio figlio e la società intera.Se mi chiedessero: “sai educare un figlio?” risponderei di no, perchè non l’ho mai fatto e non sono nato imparato, ma verrà il momento in cui accetterò questa sfida, che per quanto faticosa, fa crescere umanamente e dona gioie meravigliose, oserei dire felicità, per chi è disposto a perdere sé stesso per trovarla. Le armi a disposizione sono gli esempi eduactivi che abbiamo vicini e quelli che ci hanno formati: ne esistono tanti di positivi, ma purtroppo non hanno la stessa voce di quelli negativi, dalle cui storie siamo continuamente bombardati mediaticamente dall’informazione che miete speranza e coltiva la paura, in questo ambito come in tanti altri.
    Tornando al discorso originario, se non ricercano i genitori ambiti di confronto, come possiamo pensare che ai figli passi l’importanza di relazionarsi con altri individui? Ci stupiamo del boom di vetrine personali come i profili facebook? Del dramma degli smartphone, che da strumento di collegamento tra persone lontane sono diventati barriere tra te e chi ti sta di fianco? Abbiamo spianato la strada ad un sistema che non ci custodisce, per il quale siamo consumatori da consumare. E la droga non è niente più che un’evasione, come tutte le cose che dissociano dalla realtà, a cui i ragazzi sono oggi abituati e legittimati; peccato che i danni possono essere fatali, ma cinicamente mi vien da dire che almeno ce ne accorgiamo e ci ragioniamo.
    Molto complessa la questione della responsabilità dei locali in questi episodi: non sono certamente loro la causa di tutti i mali, altrimenti non avrei parlato di educazione in tutto l’articolo, ma è di certo discutibile il tipo di divertimento che offrono e i messaggi che fanno passare, lavorando esclusivamente per il proprio interesse in linea con la cultura consumistica. Propongono sballo, non si fanno problemi a dare da bere ai minorenni o a chi va al banco già ubriaco, non vendono droga ma sanno se gira nel locale, come lo sanno quelli che ci vanno appositamente! Non voglio generalizzare, ma gli esempi alternativi sono mosche bianche, e non sono apprezzati o favoriti per questo.
    La chiusura del Cocoricò porta con sé anche conseguenze negative, può essere un segnale per gli altri locali, ma non risolve un problema fondamentalmente educativo e culturale; se don Benzi diceva che si educa anche punendo, può essere che qualcosa di bene porti…Ma c’è tanto altro a monte, anche nel mio commento, che viene prima per ordine di importanza. Sempre secondo me, che non ho la verità in tasca e sono un ragazzo di 26 anni con poca esperienza riguardo ciò di cui ho parlato a sufficienza.
    Ringrazio per lo spazio e l’opportunità!

  2. Grazie Marco per la tua lucida ed approfondita riflessione. Grazie per aver tenuto aperta la questione. Spero che altri seguano il tuo esempio e il tuo stile. Non aggiungo altro al tuo commento, se non uno slogan che, non so se sarai d’accordo, ma mi sembra fotografi un punto centrale del tuo commento, laddove dici “Le armi a disposizione sono gli esempi eduactivi che abbiamo vicini e quelli che ci hanno formati: ne esistono tanti di positivi, ma purtroppo non hanno la stessa voce di quelli negativi, dalle cui storie siamo continuamente bombardati mediaticamente dall’informazione che miete speranza e coltiva la paura, in questo ambito come in tanti altri.”
    Proprio per precisare questi esempi educativi, mi vien da dire che non è maestro e padre o educatore chi “ha imparato”, ma lo è chi “impara”. Un giovane (figlio, alunno…) non impara se non da uno che continuamente dalla vita chiede, domanda, cerca l’autentico…
    Questa tensione manca in una società che si accontenta di piccole cose.
    Occorre mettersi tutti in discussione per rispondere alla domanda infinita di un giovane…

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