Il vuoto che genera violenza

Le recenti vicende relative a giovani che si sballano, che vivono un vuoto senza avere riferimenti, che disperdono i migliori anni della loro vita in preda al delirio, rendono il contenuto della lettera che ci è giunta via email, e che qui pubblichiamo, particolarmente importante.

Abbiamo pochi giorni fa pubblicato con il titolo “riflettere sullo sballo” un articolo di InterVista sul tema vero che si apre di fronte alle ben note vicende del Cocoricò (ma aggiungiamo anche del Beky Bay – vendita alcolici non autorizzati, lamentele dei residenti per continue risse e disordini, oppure  quella del Coconuts – la ragazza minorenne sparita da casa e ritrovata lì a lavorare-, oppure le tanti tragiche vicende di pasticche ed estasy).

È il grande tema dell’educazione, ovvero della comunicazione di un senso positivo del vivere ai giovani.

Ma il fatto accaduto all’autrice della lettera, pur assai meno grave negli esiti, ricorda direttamente anche la terribile vicenda del Clochard riminese che quattro ragazzi della Rimini bene avevano incendiato pochi anni or sono.

Occorre non  minimizzare questi eventi. In primo luogo perché i danni sono ingenti. Nel caso bordonchiese (più lieve rispetto agli altri) si parla comunque di danni per migliaia di euro – soldi che tanto più oggi sono duri da guadagnare -, danni che implicano precise responsabilità di fronte alla legge. La signora inoltre  ha dovuto installare videocamere, perché gli “scherzi” si sono ripresentati.

Occorre  non rassegnarsi alla stupidità e alla violenza, ma fermarsi e interrogarsi seriamente. In tal senso, la lettera che segue è un’occasione preziosa.

L’auspicio è che nelle famiglie possano nascere domande simili a queste, “ma mio figlio è esente da tutto ciò?”, “Come vive?”, “Cosa gli sto comunicando?”.

Perché “dei nostri figli si tratta”. Non di altri.

Domande inquietanti, poco rassicuranti, ma necessarie per tornare a guardare loro, i nostri figli, con vero e responsabile amore.

Ecco il testo

 

Cari concittadini,

se oggi mi trovo a scrivere qui, sul giornale locale di una piccola comunità come Bellaria-Igea Marina è per denunciare un fatto, accaduto il 10 luglio scorso.

Sono la proprietaria del panificio “Susy e Carlo” di Igea Marina in via Ennio. Vi esporrò i fatti esattamente come ho già fatto denunciando alla Polizia di Stato il danno subito. Nella notte del 10 luglio 2015 alcuni ragazzi del posto, circa una ventina, hanno bussato alla mia vetrata per chiedermi del cibo (pizzette e cornetti), vista la consueta fame notturna che altre notti avevano manifestato e per la quale erano già venuti con le stesse richieste. Ho accettato la loro richiesta, preoccupandomi che non dessero fastidio in piena notte alla quiete pubblica (nei piani superiori ci sono abitazioni).

Quella sera le cose erano andate esattamente come tutte le sere, scherzavano e ridevano ma non sembrava che la situazione fosse fuori controllo. Solo troppo tardi mi sono accorta che lo “scherzo” non aveva più un limite, in quanto sono stata interrotta, da un forte urto contro la vetrata del laboratorio di panificazione dove io stavo lavorando con mio marito. Subito sono uscita per capire cosa fosse capitato e immediatamente i ragazzi che pochi istanti prima sedevano davanti il mio negozio sono scappati dall’altra parte della strada e molti si sono persi nel buio del parco del Gelso. Tutto in pochi istanti e troppo poco tempo per capire cosa fosse successo, mi sono girata verso la vetrata ed ecco: una lesione che si estende per tutto il vetro. Ho chiamato i carabinieri immediatamente visto che alcuni ragazzi erano rimasti dalla parte opposta della strada a guardare il loro “capolavoro”; ma non è servito, le sirene si sentivano da lontano e anche quei pochi rimasti si sono dispersi nel parco raggiungendo i loro “compari”. Il giorno seguente ho fatto una denuncia alla Polizia di Stato, che in estate è collocata anche nella zona del Belverde, esattamente alle spalle del mio panificio.

Non nego di avere ancora paura ripensando a quella notte, e rimango stupita dalla cattiveria manifestata da questi ragazzi, che sono quasi coetanei di mia figlia. Mi rassicura l’attenzione della Polizia, che spesso passa a verificare che tutto sia a posto.

Dopo lo spiacevole accaduto, nelle notti a seguire si sono ripresentati con le solite richieste, come se qualche sera prima non fosse capitato niente, come se la mia vetrata fosse magicamente tutta intera senza nemmeno un graffio. Hanno ricevuto un rifiuto a cui non erano abituati e mi hanno dimostrato di non aver ben chiaro la gravità della situazione.

Potrete capire bene dalle mie parole che tutto questo non mi fa stare tranquilla e intuirete perciò il motivo per cui mi sono rivolta al Nuovo per far conoscere l’avvenuto. Denunciare è il modo migliore per combattere, questo ho sempre sostenuto e voglio cominciare da qui, dalle ragazzate di questi “bambini cresciuti” che si sentono potenti e intelligenti per la gente più grande che frequentano o semplicemente perché possono fare mattina tutte le notti.

Il mio non è solo un racconto ma vorrei fare emergere delle domande a tutte le madri che le notti lasciano i loro figli andare a divertirsi.

Sapete con chi escono i vostri figli? Sapete se si comportano bene come all’interno delle mura di casa vostra? Siete sicure di avere sotto controllo la loro educazione anche se hanno raggiunto la maggiore età e sembrano grandi e responsabili ai vostri occhi?

Care mamme quanto accaduto è purtroppo la triste risposta almeno per una ventina di ragazzi del posto, i responsabili di quanto accaduto.  Qualche famiglia si è chiesta se in mezzo c’era proprio figlio? Perché dei nostri figli si tratta…

Questi ragazzi non sanno rivolgersi con rispetto, non dico ad una persona adulta, ma ad una persona che lavora,  che col sudore della propria fronte ha aperto un panificio quasi due anni fa e in una notte qualsiasi vede sgretolare il guadagno delle proprie giornate per una bravata.

Facciamoci un esame di coscienza. Fuori il mondo va come va e al telegiornale ci stupiamo tanto di cosa accade come se le realtà che sentiamo fossero molto lontana da noi, dalle nostre famiglie o dalle nostre case.  Non pensavo nemmeno io, quattordici anni fa quando mi sono trasferita qui, che un atto di violenta simile potesse capitare a Bellaria Igea Marina, che la nostra città potesse diventare un posto poco tranquillo dove vivere e lavorare. Vi lascio con queste domande, con questi punti interrogativi sui nostri giovani, e con la grande sfiducia che tutto questo ha suscitato in me sul mondo, non solo attuale ma anche futuro, perché purtroppo al peggio non c’è mai fine. Grazie per l’attenzione, spero tutto questo serva a riflettere e a cambiare qualcosa.

Una bella provocazione, da prendere assai sul serio.

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