Referendum costituzionali. Alcune annotazioni per orientarsi: le ragioni del sì e quelle del no

Pubblichiamo un’articolata analisi relativa all’oramai prossimo appuntamento referendario, preparata per noi dall’avv. Primo Fonti, quale contributo per inoltrarsi in una questione tutt’altro che semplice. Seguiranno sicuramente altri interventi e analisi da parte dei comitati per il no e per il sì, attivi a Bellaria Igea Marina,  che non mancheremo di raccogliere.

Ricordiamo che non è oggetto del quesito referendario la legge elettorale, la quale tuttavia è oggetto di dibattito e polemiche tra le forze politiche per le implicazioni e le ricadute che ha sull’intero tema della rappresentanza e della democrazia (aspetto dunque fortemente legato alle riforme). Ringraziamo Primo Fonti per questo prezioso contributo. L’intervento è suddiviso n quattro parti: a) ciò che dobbiamo scegliere.  b) le ragioni del sì; c) le ragioni del no. d) “post – it”.

Infine, per chi desiderasse un ulteriore aiuto, dopo la lettura dell’articolo di Fonti, invitiamo a visionare  gli articoli di legge posti in sinossi (come erano prima e come diventeranno) e una raccolta di autorevoli interventi (Violante, Mauro Mario, Luca Antonini, ecc.) in questa pubblicazione de “I quaderni della Sussidiarietà.

Infine  credo utile riportare ilc esito referendario, nella sua formulazione.

Così troveremo sulla scheda elettorale:

Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”

Emanuele Polverelli

 

 

a) Che cosa dovremo scegliere

libro1-1024x576La Corte di Cassazione ha ammesso le richieste di referendum costituzionale sulla riforma presentate da parlamentari di diversi partiti politici. I comitati per il “SI” e per il “NO” sono stati costituiti. Dunque si avvicina l’appuntamento con il voto referendario, oramai definito per il 4 dicembre prossimo.

Inserita tra le priorità dell’attuale Governo, la revisione della disciplina costituzionale sulla natura, composizione e funzione del Senato e sull’ordinamento territoriale del nostro Paese (revisione della parte II della Costituzione), approvata dal Parlamento e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 aprile 2016  si può riassumere in 5 punti.

1. La composizione del nuovo Senato.

Il Senato diviene il ramo parlamentare rappresentativo delle istituzioni territoriali (Regioni, Città metropolitane e Comuni) ed è composto da 95 senatori che non sono più eletti dal popolo, ma scelti dai Consigli regionali e dai Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano tra i propri membri e tra i sindaci dei Comuni del proprio territorio (uno per ciascuna Regione e Provincia autonoma per un totale di 21 componenti).

I senatori vengono eletti con metodo proporzionale da parte dei Consigli regionali ( nuovo art. 57 comma 2 Cost.) “ in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi ” (nuovo art. 57 comma 5 Cost.).

Ai senatori così eletti si aggiungono cinque senatori nominati dal Presidente della Repubblica per un periodo di sette anni non rinnovabile (e non più a vita) per i loro meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

2. Le funzioni del nuovo Senato.

Il nuovo Senato deve assicurare la rappresentanza degli interessi territoriali a livello di formazione della legislazione statale; essere una sede di raccordo tra diversi livelli di governo nazionale (comunale, regionale, statale) e concorrere alla funzione di raccordo tra questi e l’Unione Europea. Il Senato non è più chiamato a votare le fiducia al Governo e non partecipa alla funzione di indirizzo politico dell’azione del Governo. Queste funzioni sono integralmente demandate alla camera dei deputati.

3. L’iniziativa legislativa.

L’iniziativa legislativa è riconosciuta al Governo, ai deputati e al Senato in quanto tale (e non ai singoli senatori). Inoltre l’iniziativa legislativa è mantenuta in capo agli elettori ma è innalzata la soglia per presentarli da 50 mila a 150 mila firme. Sono previste forme di partecipazione degli elettori all’esercizio della funzione legislativa con l’introduzione in Costituzione dei referendum propositivi e d’indirizzo. Il raggiungimento del quorum per il referendum abrogativo è più agevole se la proposta sia stata presentata da almeno 800 mila elettori.

4. Le garanzie democratiche.

La riforma introduce in Costituzione lo statuto delle opposizioni per la Camera dei deputati e la tutela dei diritti delle minoranze parlamentari nei due rami del Parlamento per garantire la dialettica democratica. I regolamenti parlamentari disciplineranno entrambe le previsioni. Il capo dello Stato verrà eletto dal Parlamento in seduta comune con innalzamento del quorum rispetto a quello attuale.

5. L’ordinamento territoriale.

La riforma del Titolo V introduce alcune modifiche che vanno nella direzione di un rafforzamento del ruolo dello Stato centrale. Tale obiettivo viene realizzato attraverso l’eliminazione delle materie che attualmente ricadono nella competenza concorrente, l’incremento delle materie riservate  alla legislazione esclusiva statale e l’introduzione delle clausola di salvaguardia o di intervento. (art.120 Cost.)

Dunque, l’intervento di riforma prospettato tocca due nodi cruciali per il buon funzionamento dello Stato tanto che le domande e i dubbi  che si pongono da più parti non riguardano la necessità di una revisione costituzionale del bicameralismo paritario e del Titolo V nel segno di un miglior funzionamento del nostro ordinamento, ma se le prospettive delineate dalla riforma siano rispettose della democrazia, tenendo in conto anche il nuovo sistema elettorale previsto per la Camera dei deputati (Italicum), e se siano soddisfacenti.

Per comprendere la vera posta in gioco è utile mettere le posizioni a confronto nel tentativo di  liberare il campo da una parte dalla  retorica trionfante per cui finalmente si cambia la Costituzione e dall’altra dalle previsioni apocalittiche del cambiamento che accompagnano il dibattito.

 

 

b) Le ragioni del “sì”

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  1. La riforma costituzionale si occupa di alcune questioni molto rilevanti come la trasformazione del nostro sistema bicamerale, il tentativo di chiarire i rapporti fra Stato e Regioni (oggi assai confuso, dopo la revisione del 2011), il potenziamento dell’iter legislativo per i progetti governativi, la limitazione dei decreti legge, il tentativo di rilanciare gli istituti di partecipazione popolare, abolizione delle Province e abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL). Priorità delle priorità – ai fini della governabilità – è la soppressione della doppia fiducia quale logica conseguenza del superamento del bicameralismo paritario indifferenziato. La relazione di fiducia col Governo deve essere intrattenuta solo dalla Camera partiticamente organizzata.
  2. L’obiettivo strategico è di portare al centro del sistema parlamentare, in una delle due  Camere (il Senato), gli interessi delle istituzioni territoriali (Regioni, città metropolitane e Comuni). Obiettivo, questo, perseguito anche dall’Assemblea Costituente dove la Commissione per la Costituzione (presieduta da Meuccio Ruini) aveva proposto  un Senato formato per un terzo da senatori eletti indirettamente dai Consigli regionali.
  3. La complessità del processo legislativo è solo apparente e comunque inevitabile se si passa da un contesto in cui due Camere fanno le stesse identiche cose a uno nel quale occorre specificare che cosa e con quali poteri differenziati può fare d’ora in poi una di esse (il Senato).
  4. L’abolizione della competenza concorrente Stato-Regioni ( riforma del Titolo V) è un’altra scelta fondamentale. Ci sono materie riservate allo Stato, il resto è regionale anche se lo Stato – ove ve ne siano ragioni e il Parlamento così disponga – può sempre intervenire. In tal modo dovrebbero essere ridotte le ragioni di conflitto sia perché è chiarito chi ha l’ultima parola, sia perché tutti sono coinvolti.
  5. La riforma costituzionale si coordina con quella elettorale della sola Camera (Italicum). Il corpo elettorale esprimerà rappresentanza (con sbarramento limitato al 3% che garantisce ampio pluralismo) e Governo (con il premio che dà la maggioranza a una sola lista). La composizione indiretta del Senato è coerente con le sue nuove funzioni e con l’abolizione della doppia fiducia. I senatori restano anche consiglieri regionali e sindaci proprio per un mutuo scambio di esperienze ed interessi. Il Governo ottiene la corsia preferenziale per i suoi progetti, mentre nel contempo è limitato il suo potere di decretazione.
  6. L’incertezza d’interpretazione, che effettivamente è presente, della norma costituzionale sulla composizione del Senato potrà essere superata dalla futura legge elettorale per il Senato che potrà spingere verso senatori più “politici” o verso senatori più direttamente legati alle istituzioni territoriali. Questa incertezza si è resa necessaria per per ragioni di compromesso (elezione dei senatori indiretta, essendo eletti da parte dei Consigli regionali anche se collegata col voto popolare al momento delle elezioni regionali).
    [Nel testo presentato dal Governo, il Senato era composto dai Presidenti delle Giunte regionali, dai Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, dai sindaci dei Comuni capoluogo di regione e di Provincia autonoma, nonché, per ciascuna Regione, da due membri eletti, con voto limitato, dal Consiglio regionale tra i propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio elettorale costituito dai sindaci della Regione. La riforma approvata dal Parlamento prevede 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali (membri dei Consigli regionali e sindaci) e 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica]
    Di certo la riforma imporrà vari adempimenti successivi, benché dipendenti dalla volontà politica. Dovrà essere fatta la legge elettorale per il Senato, nuovi regolamenti parlamentari e dei Consigli regionali, nuova disciplina del referendum propositivo, disciplina del referendum abrogativo rafforzato, nuova disciplina delle proposte di iniziativa legislativa popolare.
  7. La nuova organizzazione costituzionale sarà di certo più funzionale dell’attuale e anche meno costosa. Il risparmio sarà non solo finanziario, ma soprattutto in termini di aumentata capacità di perseguire politiche pubbliche coerenti. Si tratta, in conclusione, della riforma della parte II della Costituzione (funzionamento delle Istituzioni) che va considerata come il tentativo di attrezzarsi per meglio perseguire principi e valori della parte I (principi fondamentali, diritti e doveri dei cittadini), che nessuno vuole toccare.

 

c) Le ragioni del “no”

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  1. La soluzione adottata dall’attuale riforma a lungo attesa appare confusa e contraddittoria:
    Confusa perché condotta al di fuori di un disegno ideale di fondo e cioè di quali espressioni del popolo plurale debbano trovare rappresentanza. Se è vero che la crisi  del Parlamento è un fenomeno non solo italiano è altrettanto vero che la riforma non risponde a questa crisi in modo adeguato al punto che la riforma si caratterizza per l’assenza di strumenti (noti alla prassi di altri Paesi) per rendere efficaci l’indirizzo politico e il controllo parlamentare sul Governo. Il Parlamento non ne esce rafforzato né ripensato. A fronte di uno scenario di profonda crisi della democrazia, della partecipazione, della fiducia nei confronti delle istituzioni, sarebbe logico attendersi che la riforma della Costituzione sia diretta a rafforzare o rivitalizzare i processi democratici e a cercare la più ampia partecipazione possibile. La riforma approvata dal parlamento, invece, – di iniziativa governativa – muove nella direzione opposta. I temi affrontati non sono di immediata comprensione per i non esperti per cui il referendum difficilmente si svolgerà sul merito della riforma.
    Contraddittoria perché sembra voler condurre verso un Senato delle autonomie territoriali come se si volesse proseguire nel solco delle riforme federaliste degli ultimi anni ’90 e primi anni 2000, mentre poi la riforma riaccentra molte competenze legislative, introducendo una clausola di supremazia  (detta clausola di salvaguardia) con cui, su proposta del Governo, lo Stato potrà intervenire in materia di competenza legislativa delle Regioni lasciando il Governo arbitro dell’autonomia regionale.
  2. Mentre si proclama il superamento della competenza legislativa concorrente Stato-Regioni, fonte di smisurato contenzioso costituzionale, la si fa rientrare dalla finestra sotto forma di materie affidate allo Stato in termini di “norme generali” o simili. La riforma del Titolo V inciderà solo sulle competenze delle Regioni a Statuto ordinario accentuando ulteriormente la condizione di privilegio delle Regioni a Statuto Speciale, i cui Statuti potranno essere revisionati solo previo accordo. Come sarà possibile togliere privilegi col consenso del privilegiato ?
  3. La rappresentanza delle Regioni nel nuovo Senato è perseguita in una modalità ambigua: si è scelta la soluzione compromissoria per la quale i senatori saranno eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Siamo di fronte a un ibrido tra una espressione di istituzioni territoriali e una legittimazione diretta popolare con l’esito di avere un Senato  a rappresentanza incerta. Difficile dire se prevarrà la lealtà partitica o quella territoriale. I senatori, pur essendo legislatori nazionali,sono legati a un vincolo di mandato con le istituzioni locali che li eleggono e garantiti nella loro autonomia solo dalle immunità proprie all’istituzione locale dalla quale provengono. Non solo, ma il Senato è composto in percentuale significativa ( 5 senatori su 100) da membri nominati dal Presidente della Repubblica senza alcun collegamento con le realtà locali.
  4. La complessità dei procedimenti legislativi ( una pletora di ben 9 procedimenti, con buona pace per chi voleva semplificare) è dovuta al diverso ruolo attribuito di volta in volta al Senato nelle varie materie (leggi bicamerali,monocamerali con emendamenti del Senato,con emendamenti respingibili a maggioranza semplice o assoluta, ecc..). C’è il rischio che questa varietà di procedimenti inneschi una nuova conflittualità, quella tra Camera e Senato. Le leggi bicamerali – quelle approvate anche dal Senato – sono molto eterogenee tra loro e, paradossalmente, solo in modo molto limitato si riferiscono a materie regionali. Così il “Senato regionale” dovrebbe “occuparsi di politica estera e comunitaria, di assetto dell’amministrazione locale, di istituti di democrazia diretta, di ordinamento elettorale delle  Regioni, ecc., ma non di ciò che le Regioni devono fare” (così De Siervo in “ Appunti a proposito della brutta riforma costituzionale approvata dal Parlamento “ in Rivista AIC in www.rivistaaic.it ).
  5. La Costituzione deve essere un patrimonio comune, un terreno alto di composizione delle differenze. Fare della Costituzione l’oggetto di un plebiscito a favore o contro un gruppo dirigente – dunque, non una linea politica e una visione di fondo, ma singole persone – è l’errore più grave. Indebolire i governi regionali, non riformare il Parlamento ma limitarsi ad amputarne un pezzo, ridurre gli spazi di partecipazione, significa danneggiare la tenuta democratica delle istituzioni, mortificarle, non guardare al futuro. Se anche la parte I della Carta costituzionale non viene toccata, facendo della Costituzione il terreno di una competizione elettorale diretta a rafforzare o indebolire leadership personali si altera la sua struttura profonda minando, con la funzione di garanzia per tutti, l’idea stessa di Costituzione.
  6. La riforma della legge elettorale (denominata Italicum) per la sola camera dei deputati presuppone che il Senato non sarà più direttamente elettivo. L’ Italicum tradisce una certa concezione della forma di governo, rivelando quanto nella trama della riforma costituzionale resta sotteso. L’art.2 della legge n.52/2015 (Italicum) precisa che “i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il proprio programma elettorale nel quale dichiarano il nome e il cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”. In tal modo la legge elettorale incide fortemente sul funzionamento delle istituzioni al limite della riforma tacita della Costituzione (come dichiarava in un’intervista il prof. D’Alimonte, ritenuto tra gli ispiratori di questa legge): gli elettori sceglieranno  “direttamente” chi governa mentre al Presidente della Repubblica rimarrà un potere di nomina “obbligata”. Una semplificazione, questa, che tende a riassumere il pluralismo del popolo sovrano in una maggioranza rigidamente predeterminata e perfino in un “capo”. E’ così che le elezioni della Camera dei Deputati diventano competizioni per governare senza rappresentare, utili all’investitura del capo della forza politica che potrà comandare, godendo della maggioranza assoluta garantitagli dalla legge elettorale. [La legge elettorale prevede un sistema proporzionale a doppio turno a correzione maggioritaria, con premio di maggioranza di 340 seggi (54%) alla lista (non alla coalizione) che abbia raggiunto il 40% dei voti al primo turno o che vince al ballottaggio. Su questa legge, dopo numerose polemiche anche interne alla maggioranza, il governo si è detto disposto a trattare per una revisione degli aspetti più contestati ].
  7. Con la riforma il potere si concentra nelle mani di ristrette oligarchie con inevitabile svuotamento della democrazia. “Il problema – osserva il prof.Zagrebelsky – non è il Senato che poteva anche essere abolito; è all’insieme che bisogna guardare, ai rappresentanti che non rappresentano, ai partiti asfittici, verticistici e personali, con i cittadini esclusi ed impotenti. Questo è il sogno di ogni oligarchia! “ (vedi Zagrebelsky: “ Il mio NO per evitare una democrazia svuotata”).

 

 

d) Post-it: quali lezioni dall’Italicum ?

La riforma della legge elettorale era divenuta un atto dovuto dopo la dichiarazione di incostituzionalità della previgente normativa (il Porcellum) con la sentenza n.1/2014 della Corte Costituzionale. La nuova legge elettorale veniva approvata dal Senato il 27 gennaio 2015 modificando il testo licenziato  dalla Camera per incorporare gli esiti del dibattito politico avvenuto nel frattempo. Questa seconda versione è poi tornata alla Camera che l’ha approvata definitivamente senza modifiche votando sul provvedimento la fiducia posta dal Governo. Il quadro politico,infatti, si era sostanzialmente modificato per due ragioni: il venir meno del cosiddetto “Patto del Nazareno” tra Partito Democratico e Forza Italia (e soprattutto tra i loro due leader, Renzi e Berlusconi) che aveva come oggetto il percorso delle riforme istituzionali, tra cui anche la legge elettorale e  l’inasprirsi della dialettica interna al Partito Democratico. Così alla Camera l’Italicum è stato avversato da deputati i cui colleghi al Senato avevano votato compatti a suo favore.

La versione definitiva prevede un sistema proporzionale a doppio turno a correzione maggioritaria, con premio di maggioranza di 340 seggi (54%) alla lista (non alla coalizione) che abbia raggiunto il 40% dei voti al primo turno o che vince al ballottaggio, soglia di sbarramento al 3% su base nazionale per tutti i partiti e 100 collegi plurinominali con capilista “bloccati” in ogni collegio; i capilista possono candidarsi in non più di 10 collegi. Essa disciplina l’elezione della sola Camera dei Deputati a decorrere dal 1º luglio 2016. Il problema che pone la nuova legge elettorale è, indubbiamente, la dialettica maggioranza-minoranza. Si tratta di una questione cruciale per la democrazia che è sì il governo della maggioranza ma a condizione che esista una minoranza viva e tutelata nei suoi diritti e nelle sue funzioni. Senza minoranza, la maggioranza diventa “ bulgara”, una dittatura mascherata.

 

Primo Fonti

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