Danny e l’infinita libertà creativa del jazz

Il maestro di musica che intervistiamo oggi, all’interno del nostro consueto viaggio tra gli artisti della Glenn Gould, presenta il fascino e l’originalità del genere musicale di cui è innamorato, il Jazz. Parliamo di Danny Busi, maestro di chitarra moderna, artista che ha seguito un percorso di studio decisamente originale e di notevole prestigio, denso di incontri con grandi musicisti.

Ma lasciamo a lui le parole.

Danny, tu sei di Santarcangelo, come sei giunto alla scuola di musica di Bellaria Igea Marina? 

Sono qui da cinque anni, avendo iniziato con la precedente gestione. Insegno poi in una scuola di Viserba.

Come è iniziata la tua avventura con la musica e con la chitarra in particolare?

Come la maggior parte dei ragazzi di oggi, lo strumento della chitarra per me era un oggetto affasciante, un po’ magico, un gioco che mi permetteva di sognare. Passando davanti ad un negozio me ne innamorai e, alla prima occasione di un regalo, la chiesi ai miei. Era una passione quasi visiva. Ma per utilizzare davvero la chitarra ho ben presto capito che occorreva studiarla. E così, più o meno all’età della scuola media, ho cominciato il vero rapporto con la musica.

Dove hai iniziato?

Inizialmente con un insegnante a Santarcangelo, che era in realtà un bassista. Dopo un po’ mi indirizzò verso un chitarrista vero e proprio. Abitava a Rimini, ma ora vive a Londra, ed era un chitarrista jazz, pur aperto a tutti i generi. Mi colpì subito moltissimo. Avevo 17 anni e vedevo in lui che la musica poteva essere una professione, una professione che può permettere di vivere. Trovai quindi in lui un modello. Anche io volevo vivere di musica e mi misi a studiare tantissimo per realizzare questo sogno. Insomma a 17 anni scoprii la mia strada.

Come hai proseguito?

Ho iniziato a cercare altri insegnanti e a seguirli anche collaborando con loro, trovando personalità di grande rilievo.

E come è nata la passione per il jazz?

Finita la scuola superiore (geometri), volevo avere una certificazione pubblica per il mio percorso musicale. Così mi sono iscritto al Conservatorio. Guardando quello che mi corrispondeva di più, ho scelto il Conservatorio jazz di Adria. Ho seguito il percorso triennale, equiparato ad un corso di laurea. Mi sono laureato anno scorso ed ora sto completando la magistrale a Rovigo.

Hai fatto poi scelte ancor più coraggiose…

Sì, vero. Ho vinto una borsa di studio ad Adria. Così, ho deciso di utilizzare quei soldi per andare a studiare per due mesi in USA. Sono andato a San Francisco, a Berkeley, in California. Qui ho studiato con una chitarrista jazz, autrice di un testo su cui avevo studiato.

Dunque la musica è la tua vita e la tua professione, ma cosa è per te la musica?

La musica è un modo per esprimersi, per rilassarsi, provare sensazioni. Una passione simile allo sport. Credo che ogni attività offra sensazioni particolari. La musica ne offre tantissime e intensissime. Lo stesso può dirsi per la pittura con le immagini. La musica attraverso il suono ti permette di vivere intensamente.

E invece la professione di maestro di musica?

Per essere buoni insegnanti, bisogna innanzi tutto che la lezione insegni qualcosa a te stesso. Ci sono musicisti bravissimi che non sono buoni insegnanti. Io credo che il punto sia nel conservare la voglia continua di imparare. Io amo insegnare, perché ad ogni lezione, di fronte ad ogni allievo, imparo qualcosa di più. Questo ti permette di essere disponibile a capire le differenze tra i ragazzi, le esigenze di ognuno, accettando così la sfida che ogni persona rappresenta.

Quanto ha inciso sulla tua formazione il periodo del Conservatorio?

Sia ad Adria che a Rovigo ho incontrato maestri eccezionali. Tra i miei primi vi è stato Fabio Zeppetella, chitarrista di fama mondiale. Poi Roberto Cecchetto e Simone La Maida per citarne altri due. Mi hanno trasmesso passione per la musica, ma anche insegnato metodi nuovi, soprattutto nell’ambito dell’improvvisazione.

La formazione poi della scuola nel suo insieme è stata la base fondamentale per indirizzarmi verso la professione. Lì si aprivano vie per il live, o per il mixaggio o la didattica, che io ho scelto.

Scelte che determinano poi appunto la professione…

Certo, anche se in Italia è dura.

Qual è il problema qui?

Al di là dei consueti limiti dovuti a burocrazia e poco dinamismo, va detto che in italia si ascolta poco la musica. Si tende a seguire più una immagine di cantante che ad ascoltarlo. Diverso è nel mondo anglosassone.  Lì si esce la sera per ascoltare musica. La musica viene eseguita in tanti locali, pub, ritrovi. È normale, la musica è ovunque. Da noi non è così.

Spostiamoci sulla questione del jazz. È una musica non facile, non immediata. Come è nata questa passione?

Devo dire che agli inizi andavo ad ascoltare il mio maestro, il jazzista, e… mi annoiavo. Le prime volta era una  musica per me incomprensibile. Amavo il blues e il rock. Iniziai a fare jazz semplicemente come fosse una palestra e per questo scelsi il Conservatorio di Adria, in cui si insegnava musica jazz appunto. E proprio lì è nato un amore profondo per quella musica.

Che è accaduto?

In primo luogo sono caduti tanti miti. Il jazz è stato per lungo tempo identificato come un genere per chi non conosce la teoria della musica. Invece lo stesso Armstrong, così come altri grandi jazzisti neri, ritenuti dai bianchi “ignoranti” della musica, in realtà avevano solide basi. A loro era vietato suonare la musica classica, ma la conoscevano eccome!  Poi mi sono immerso nella conoscenza dell’improvvisazione e mi si è aperto un mondo.

Quindi in sintesi, in cosa consiste il fascino del jazz?

È una musica che non ha confini, permette soluzioni infinite, lascia la tua creatività libera di spaziare in una maniera unica.

Da cosa nasce questa infinita apertura?

Per improvvisare bisogna innanzi tutto ascoltare. Ascoltare la musica in generale e poi l’altro che suona con te. Qui la radice della propria personale creatività: nell’ascolto.

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