Il ritmo della vita. intervista al batterista Pasquale Montuori

Musica non è solo melodia, suono, armonia.  Musica è anche energia, ritmo, pulsazioni che scandiscono e generano vita. Tra tutti gli strumenti che mettono a tema questo “battito” vitale, sicuramente la regina incontrastata è la batteria. Uno strumento che mancava all’interno della nostra raccolta di interviste ai docenti della scuola di musica Glenn Gould.

Rimediamo oggi, con Pasquale Montuori (qui il suo canale YouTube), giovane maestro di batteria, che da ben 6 anni svolge la sua attività di insegnante a Bellaria Igea Marina.

Pasquale, abbiamo sentito i tuoi colleghi aver iniziato il loro percorso musicale  nelle forme più differenti per te come è stato?

Sono decisamente “figlio d’arte”. I miei genitori, provenienti dalla Campania ma residenti a Viserba da quando ero bambino, avevano un’orchestra da ballo.

Come si chiamava l’orchestra? 

Orchestra Edipo Re e suonava sia il liscio che musica anni ’60. Si suonava prevalentemente nelle zone del nord Italia, come Padova, Verona. L’estate eravamo impegnati tantissimo. C’era molto lavoro.

Tu dunque eri parte dell’orchestra?

Sì. Mio padre, con l’occasione dell’uscita dal gruppo di mio zio per scelte personali, mi volle inserire. E così a 12 anni io già avevo un lavoro, un pubblico, un ruolo! È stata una cosa importante. Bella da una parte, perché mi ha permesso di fare subito esperienza del palco, del pubblico. D’altro canto però non ho vissuto l’esperienza delle band con gli amici. Fatto che un po’ mi manca.

Padre, zio….  Eravate tutti musicisti?

Di fatto sì!  Mio babbo era alla chitarra, mia mamma cantante, uno zio al basso e poi lo zio alla batteria che ho sostituito io.

E la tua formazione musicale come si è svolta?

A 3 o 4 anni già mi divertito a suonare sulle basi della famiglia. Da solo, sulla base, seguivo il ritmo e imparavo da autodidatta. Ma poi quando la cosa si è fatta importante, ero già qui a Viserba, ho seguito la Music Academy, scuola londinese che ha sedi in tutta Europa. L’accademia mi ha aperto poi la strada dell’insegnamento che ho iniziato proprio qui a Bellaria Igea Marina, grazie a Luca Quadrelli con cui già suonavo.

La batteria è stata da subito la tua passione?

Sì. Ricordo che si facevano feste in famiglia la domenica e mio nonno, che era batterista, era il mio idolo!

Dunque, tutti musicisti!

Eh sì, non ne è scampato uno!

Come è la vita in una famiglia di musicisti?

In positivo ti comprendono subito in quelle esigenze proprie di una vita dedicata alla musica: i ritmi notturni, la vita sregolata fatta di tournée. Ma anche di momenti in cui devi parlare, magari in un bar, per poter pensare progetti futuri. Per noi anche quello – ed è molto importante – è lavoro. Dall’altra però nascevano discussioni furibonde, perché ognuno aveva la sua idea sui gusti musicali, sul budget da investire, ecc.

Continua l’attività dell’orchestra di famiglia?

Al momento dell’arrivo del terzo figlio i miei hanno deciso di chiudere.

Hai rimpianti per questo?

In realtà no. Oggi è tutto cambiato. L’orchestra non è più una palestra formativa. Oggi si fa tutto sulle basi, i musicisti quasi non suonano più. Inoltre i budget sono ridotti, si deve fare tutto da sé. In sostanza si fa “facchinaggio artistico” (devi caricare e scaricare gli strumenti da solo e il suonarli diventa la cosa minore). Una volta se tu, alla batteria, non davi il ritmo giusto all’orchestra, la gente in sala smetteva di ballare, si andava a sedere. E ricevevi sonore sgridate se ciò accadeva. Oggi il ritmo è già pre-registrato sulla base. E poi è nata un’altra strada…

Raccontaci. 

Il mio insegnante Simone La Maida, che poi è divenuto un grande amico, mi ha introdotto al Jazz consigliandomi l’ascolto di un disco di Elvin Jones,  Speak No Evil. Amo il Jazz perché permette una creatività musicale senza pari. Una creatività e improvvisazione che però hanno basi solide.

Spiegaci…

È come noi che dialoghiamo qui ora. Ognuno di noi due pensa e comunica all’altro le sue considerazioni, domande, risposte. Improvvisiamo e nulla è predefinito. Però il linguaggio, la modalità di relazionarsi, la devi aver dentro, altrimenti non ci si potrebbe capire. Così è il Jazz. C’è una dura disciplina da imparare. Un linguaggio. Che però poi fa esplodere una creatività infinita. Senza dubbio occorre una formazione completa. Io ho ricevuto la mia formazione da docenti eccezionali, tra i quali anche l’americano Greg Hutchinson che era spesso a Roma, in quanto ha la moglie lì. Così io partivo per poter avere sue lezioni, affrontando viaggio e spese. Ma ne valeva la pena, perché il Jazz negli USA è un’altra cosa. Hanno un livello ed un’energia superiore e volevo impararla.

Oltre all’insegnamento fai anche concerti?

Sto lavorando a diversi progetti. Il primo, dal nome Il Chitarreto – Roberto Zechini, è un progetto ideato e diretto per l’appunto da Roberto Zechini, chitarrista di Fermo. Proprio sabato 8 aprile abbiamo suonato al Mille Luci jazz Club e domenica 9 eravamo all’Urbino Jazz Festival. Poi, dopo la tournée di Roberto in Sudafrica, andremo a Londra.

È possibile ascoltare questo lavoro sulla piattaforma Exit live.

Inoltre?

Stiamo preparando un disco di musica brasiliana. Questo progetto si chiama Em Branco e Preto.  Io amo alla follia la musica brasiliana, poiché riassume tutti i generi che apprezzo, dal funk, al soul, al jazz appunto. Si tratta di musica brasiliana suonata appunto da musicisti jazz, all’insegna della contaminazione. Infine sto collaborando con Stevie Biondi, fratello del più noto Mario Biondi.

Come è nato il rapporto con lui?

Andavo a lezione da Fabio Nobile, batterista di Mario Biondi. Fabio è di Cesenatico. Di lì è nata un’affinità fino a far nascere il gruppo. Si chiama Stieve Biondi quartet e con noi c’è anche il bassista Luca Angelici, della nostra scuola. Ci esibiremo per la Notte Rosa il 7 luglio a Viserba e l’ 8 luglio a Bellaria.

Infine, quali sono le tue idee guida per l’insegnamento?

Credo che insegnare sia una grande occasione per imparare. Quello che mi colpisce è la diversità dei bambini: da quello timido a quello che non si riesce a tenere fermo. Chiedono metodi differenti, chiedono una relazione unica ogni volta. Ad esempio per alcuni bambini non basta il battito per acquisire il ritmo ma necessitano di vedere il movimento della mano. Ognuno di noi deve cercare e trovare la strada per entrare nella musica e io mi adopero per dare forza a questa ricerca. Per questo il rapporto con loro non può essere di tipo accademico o dottrinale, ma come tra amici. Se non hai fatto i compiti, partiamo da quello che hai fatto e di lì nasce la lezione. Per ognuno c’è sicuramente una strada. E questa per me è una lezione di vita.

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