Una testimonianza bellica, ben poco conosciuta, presente a Bellaria Igea Marina

Presto verrà realizzata a Bellaria la strada ciclabile che collega piazzale Kennedy con Via Italia. Immaginiamo ora la domanda che sorgerà a molti turisti (ma immagino anche ad alcuni bellariesi) nel momento in cui si troveranno all’altezza di via Muggia, dietro a piazza Marcianò all’altezza del bagno 14 vicino all’ex cinema Apollo.bunker019  Ai loro occhi , magari curiosando appena oltre al murettino in mattoni forati (la piccola parte di struttura oggi visibile è in terreno privato),  appare una strana  struttura in cemento armato posto in posizione sbilenca. Di cosa si tratta? Non ci dovrebbe essere tema di smentita se diciamo che è l’ultima triste testimonianza bellica del nostro comune (e probabilmente della costa nella provincia di Rimini).

Si tratta di un Bunker tedesco antisbarco.  La prima volta che lo vidi avevo circa 12 anni e mi portò a vederla mio fratello che essendo più grande aveva già avuto modo di conoscerlo. Ne rimasi subito affascinato come solo un adolescente può fare. Quale la storia di quella struttura? E quella degli uomini che ne hanno convissuto le sorti? Perché è sprofondata e quasi capovolta?

A distanza di anni questi dubbi sono rinati, proprio nel momento in cui ho letto negli occhi di mio figlio le medesime domande. Certo che ora “i resti” sono quasi interamente sepolti ed emerge solo un angolo; quando ero bambino la struttura era molto più visibile ed era “toccabile con mano” . Ho comunque provato a ricostruirne un poco la storia, anche se purtroppo non propriamente di “quel” bunker.

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In conseguenza allo sbarco degli alleati in Sicilia, i tedeschi già dal 1943 approntarono una potente linea difensiva, la cosiddetta “Linea Gotica” che tagliava l’Italia da Massa fino alla nostra riviera circa all’altezza di Pesaro. Oltre alla linea di terra che varcava l’Appennino i tedeschi valutarono che c’era una concreta possibilità che gli alleati potessero effettuare uno sbarco anche sulla nostra riviera, questo con l’intento di arrivare alle spalle della linea di difesa e tagliando fuori tutte le truppe dislocate sulla Gotica.

Per capirne la potenza difensiva basti pensare che in una delle zona ritenute più delicate (Bosco Mesola)  in un breve tratto di costa furono costruiti ben 29 Bunker difensivi.

L’analisi dei generali tedeschi aveva valutato come avvicinandosi a Venezia i fondali avevano caratteristiche di profondità inadatte per inadatti alle navi e poi dei mezzi da sbarco. Fu così organizzata a difesa tutta la costa che va da Cattolica (la costa vicino Pesaro è frastagliata e non adatta) fino a Comacchio. In tutta questa fascia di terreno vennero costruite centinaia di fortificazioni, barriere antisbarco e anche campi minati.

In realtà la storia ci insegna che la scelta degli alleati fu quella di aprire un nuovo fronte con lo sbarco in Normandia, situazione che cambiò completamente il quadro bellico lasciando, nella nostra terra, il quadro delle operazioni  e la liberazioni delle città ad opera delle truppe di terra.

Di questa realizzazione fu incaricata la 362 infanterie division che utilizzava gli operai della TODT , una grande organizzazione  di costruzioni  sotto il controllo diretto di genieri militari tedeschi  (concepita  in Germania da Fritz Todt).

Le operazioni di preparazione di questa linea di difesa marittima iniziarono verso il settembre del ’43 e in molti tratti di costa prevedevano il completo abbattimento di qualsiasi struttura si trovasse nella zona spiaggia. Nel tratto fra Bellaria e Rimini le costruzioni da demolire erano centinaia e probabilmente fu solo con l’intervento presso il Duce  del commissario prefettizio Ugo Ughi che si riuscì a limitarne i danni.

Quasi certamente anche a causa della presenza di questa fitta rete di fortificazioni Bellaria viene presa di mira dagli alleati ed il 15 febbraio ’44 un primo pesante bombardamento viene fatto nella zona porto, ed a questo ne seguirono tanti altri fino ad un totale di 52.

Naturalmente con l’avvicinarsi del fronte ed il susseguirsi dei bombardamenti furono abbandonati tutti i lavori di costruzione e rinforzo delle difese costiere. Poi con il passaggio del fronte, la fine della guerra e la ricostruzione, dagli anni 50 in poi, la  stragrande maggioranza di queste “pesanti” testimonianze sono state distrutte e rimosse

Ma che tipo di fortificazioni si trovavano sulla nostra spiaggia? Principalmente si trattava di bunker tipo Tobruk, ed a mio modesto avviso anche quello presente sul nostro comune è di questo tipo.

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(immagine di Heine Christensen tratta dal sito Regelbau.dk. L’originale lo si trova a questo link.)

Si tratta di bunker interrati che mediamente ospitavano 2 persone con un nido di mitragliatrice o un mortaio. Il bunker era dotato di una entrata laterale sotterranea e solitamente anche di una uscita di sicurezza. Questa mia ipotesi viene sia dal fatto che questo tipo di fortificazione era la più comune, sia per le dimensioni visibili che per il fatto che ricordo bene come anni fa si intravedesse ancora  il bordo del cerchio destinato alla mitragliatrice

Le dimensioni medie erano con un fronte di 2,40 Mt e lunghi 3,5 mt, con un’altezza di 2,75 ma spesso la parte emergente con il nido di mitragliatrice era di poco più di 1 Mt.

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Non ho trovato riscontri se sul nostro tratto di spiaggia ci fossero anche Bunker più grandi, come nella zona di Viserba dove c’erano i  bunker tipo R 671 destinati ad ospitare calibri maggiori e con ingombri da 12 MT di fronte, 10 di lunghezza e quasi 6 di altezza. Significativa una foto scattata dagli alleati con indicazione della zona geografica.bunker016

Purtroppo non ho trovato riscontri testimoniali sulla storia esatta del “nostro” bunker. Le ipotesi sul suo ribaltamento sono diverse dal “semplice” cedimento del terreno (cosa facile vista anche la vicinanza al mare, tanto più che ancora non c’erano scogliere) oppure dello scoppio di un proiettile di grosso calibro che magari ha contribuito poi al successivo cedimento del terreno.

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In ogni caso ritengo  valga la pena (anche in vista dei futuri lavori) dargli un poco di rilievo, magari anche scavandone meglio i contorni e ponendo una targa o un cartello di spiegazione per  indicare al visitatore di cosa si tratta. In altri comuni si è proceduto ad un vero e proprio restauro per permettere alle nuove generazioni di rendersi conto di cosa ha significato il passaggio del fronte sul nostro territorio. Certamente recuperarlo facendolo emergere sarebbe un’opera ciclopica, ma almeno dargli un minimo di visibilità ed una  spiegazione avrebbe un costo contenuto e contribuirebbe anche a non fare completamente scomparire questo pezzo di storia bellariese.

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