Immersi nella bellezza e nella voce

Nel nostro, oramai lungo, viaggio tra gli artisti della scuola Glenn Gould, abbiamo incontrato talenti inaspettati ma soprattutto uomini – ed oggi per la prima volta una donna – di grande sensibilità e “senso delle cose”. Uomini e donne che non sono in alcun modo semplicemente “abili esecutori” ma che, attraverso la musica, sanno scavare nel profondo di sé e dell’altro. Questo mese vi presentiamo Manuela (Evelyn in arte) Prioli. Cantante votata al Jazz, figlia d’arte, è stata definita per le sue doti vocali e per la sua sensibilità artistica, una delle più promettenti e talentuose giovani voci del panorama jazzistico. La sua voce, infatti, presenta sfumature blusey e richiama  artisti come Amy Winehouse, Billie Holiday, Nancy Wilson. Numerose le collaborazioni di alto livello che Manuela può vantare, (ha collaborato con Simone La Maida e Roberto Monti, con Sam Gambarini e Alessandro Scala, artisti che frequentano nomi del calibro di Fabrizio Bosso, Flavio Boltro, Rosalia De Souza e numerosi altri).

L’abbiamo incontrata presso le aule della scuola Glenn Gould di Igea, dove è insegnante di canto.

Manuela, quando è nata in te la passione per la musica?

Potrei dire da sempre. Mio nonno – citato nel libro di Righetti sulle band degli anni d’oro della musica in riviera –  era batterista e diplomato in clarinetto. La mia famiglia è immersa nella musica, comprese le nuove generazioni, anche se io sono quella che poi ne ha fatto una professione. Da piccoli, nelle riunioni di famiglia, per Natale, ci chiudevamo nella sala prove (che mio nonno aveva in casa) e cominciavamo ad improvvisare musica. Ma ho soprattutto in mente, come fosse adesso, un ricordo di grande tenerezza di mio nonno, che forse ha inciso in maniera decisiva sulla mia scelta per il canto.

 

Parlacene.

È un ricordo legato all’ascolto più che al “fare” musica. È quello di lui che mi cantava “Ciao, ciao bambina”, mentre mi teneva sulle gambe. Mi ricordo tutto di quel momento, impressioni, profumi, emozioni, l’espressione di mio nonno.  Un’esperienza pari solo a quando lui, centenario, venne ad ascoltarmi qui a Bellaria, al Teatro Astra, per il Concerto di capodanno, dove ero solista in una band di 30 elementi. In quel momento, lui capì che la sua passione – la musica -, stava continuando nella sua nipotina.

E cosa c’è di così importante in questi momenti?

Quando, da piccoli, eravamo in sala prove ad improvvisare musica, percepivo qualcosa di speciale, qualcosa di diverso dal quotidiano. Oltre al senso di appartenenza alla tradizione della mia famiglia, nasceva l’idea che si poteva vivere per qualcosa di diverso e unico. Per me il canto è l’immergersi in questa dimensione che in qualche modo ti trasforma.

In che senso?

Difficile a dirsi, ma posso fare un esempio molto semplice. Io nella vita sono molto timida. Sul palco – vinto il terribile momento iniziale! – tutto diventa diverso. Viene fuori una energia e una parte di me che non pensavo di avere e che pure è parte di me.

Accanto alla musica, hai svolto studi scientifici.

Sì, dopo il liceo scientifico ho fatto Scienze motorie. Ma accanto a questo vi è sempre stato lo studio per la musica.

Quando poi la scelta di fare della musica l’interesse principale?

Forse il momento decisivo è stato un momento negativo, quando al liceo non fui scelta per un musical che si stava preparando. Questa esclusione, per me divenne una sfida e allora volli andare a fondo di questa mia passione che lì non era stata capita.

Gli studi di canto come sono proseguiti?

È continuata questa formazione poliedrica sulla musica, concentrandosi via, via, sempre più sul canto e sul jazz.  Importante il percorso fatto con Simone Lamaida, la frequenza del Conservatorio  Bruno Maderna di Cesena, dove ho potuto seguire Joe Pisto, chitarrista e cantante Jazz. Successivamente mi sono immersa nel soul, nel gospel, nel pop e nel blues, grazie a seminari intensivi e a corsi mirati da parte di artisti italiani e americani, che ho potuto seguire anche grazie a borse di studio.  Tra questi ricordo quelli con Bob Stoloff (con cui ho appreso la tecnica dello SCAT, la tecnica di improvvisazione vocale attraverso sillabe, tipica di Ella Fitzgerald), con Gegè Telesforo, Roberta Gambarini, Jean Gambini e Patrizia Laquidara.

E poi abbiamo la tua attività di serate e concerti.

Sono una parte davvero importante della mia vita ora, accanto all’attività didattica. Ho collaborato come voce solista con la Big Band del conservatorio di Cesena, con la Off Course Big Band, con la Roots Big Band. Ho partecipato insieme a Roberto Monti (chitarra) e Sam Gambarini (organo hammond) all’importante rassegna Bosco jazz al teatro comunale di Gambettola.

Passiamo alla tua attività di insegnante. Come ti sei formata?

Sono iscritta all’albo Voice to teach, (percorso di inter-metodologia funzionale al canto curata da Franco Fussi, massimo esperto delle patologie vocali e medico chirurgo in Foniatria e Otorinolaringoiatria). Ho frequentato master di insegnamento di tecniche vocali  Speech Level Singing, Estill Voicecraft e metodo funzionale vocale. Al Conservatorio ho frequentato corso di direzione coro.

Qual è la linea guida del tuo insegnare?

È un po’ come è stato per me l’iniziare il canto. Dentro tutta la tecnica, che va comunque  appresa in maniera rigorosa, occorre trovare la propria voce, quell’elemento originale ed unico che il fare musica può far emerge nell’alunno. Per questo spingo molto i ragazzi a far venir fuori i loro punti di interesse, le loro passioni musicali, e cerco di fare in modo che altre se ne accendano. Di qui l’importanza dell’improvvisazione e della creatività. Per me è un punto di orgoglio che due miei allievi (Pietro Gozzoli e Tommaso Marziani) abbiamo vinto la puntata di Degni di nota con un pezzo scritto da loro stessi, unici tra i concorrenti che al contrario avevano cover (Vedi lo scorso numero de Il Nuovo).

Progetti per il futuro?

Il 5 dicembre sarò a Milano, con Sam Gambarini (organo hammond) e Alessandro Scala (sassofono), in una stupenda location vicino al Duomo. Altri impegni sono legati alla formazione musical The Balance, composta da me, da Roberto Monti e da Simone La Maida.

Infine, all’interno di tutto questo che ci hai raccontato, qual è la cosa più intrigante, più stimolante della tua attività? Detto altrimenti… che cosa vuoi dire al mondo quando sali sul palco?

Canto come solista e la mia fisicità è ovviamente importante. Sei al centro del gruppo, devi anche dare i tempi, dirigere gli attacchi… Sento – e questo mi spaventa – che il rischio è quello di un egocentrismo. Lo dicevo anche prima che sul palco vivi una situazione speciale rispetto alla quotidianità.  Eppure io vorrei scomparire, perché resti solo la mia voce. Ecco, vorrei comunicare la bellezza della musica, attraverso questo strumento eccezionale che è la voce, fino al punto di esserne totalmente immersa io stessa in essa. Desidero che il pubblico possa dimenticare tutto, la figura, i miei compagni, l’ambientazione, i colori, i vestiti, per essere totalmente immersi nella bellezza della voce e dei suoni.  Forse è questo, quello che di speciale provo nel cantare sul palco.

https://youtu.be/qv65c3xBC10

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